• FacebookLogo
  • Instagram
 

Lettura vocazionale del Vangelo domenicale

 

Per quattro volte risuona nel brano del Vangelo il verbo salvare: prima i capi, poi i soldati, infine uno dei malfattori provocano Gesù a fare finalmente quello per cui ha dichiarato di essere venuto. Il Cristo non si sottrae, cioè realizza l’annuncio di tutta la sua vita, ma in un modo che sconvolge l’immagine che l’uomo ha di Dio: Gesù salva altri e non pensa a salvare se stesso, mostrando così il volto di un Dio che non chiede sacrifici all’uomo, ma si sacrifica lui per l’uomo (E. Ronchi).

A quelli che lo disprezzano e lo deridono, Gesù offre un supplemento d’amore.

Ecco che cosa significa seguire Gesù: sperimentare, affermare e testimoniare concretamente che l’amore vale più della vita, che l’amore è più forte del rifiuto e dell’odio.

Almeno un malfattore, riconoscendo la propria colpevolezza, si accorge di essere stato avvicinato da un innocente: Gesù, il solo Giusto, ci salva condividendo la nostra povertà, il nostro patire, la nostra morte.

Mi viene in mente il tema di un campo vocazionale:

Salvàti da Gesù Cristo per diventare collaboratori di salvezza.

Si può essere collaboratori di salvezza sentendosi solidali con tutti, con la fragilità e il peccato che ci sono in ogni uomo, per gridare con la vita che c’è Qualcuno da cui possiamo sperare salvezza, anzi c’è Qualcuno che ci ha già salvati.

Come non accoglierlo?

Come non invocarlo?

Come non adorarlo?

Come non rispondergli se ci invita a diventare

suoi collaboratori di salvezza come preti?

 

O Dio, tu sei il mio Dio,
dall’aurora io ti cerco,

ha sete di te l’anima mia,

desidera te la mia carne

in terra arida, assetata, senz’acqua.

Così nel santuario ti ho contemplato,

guardando la tua potenza e la tua gloria.

Poiché il tuo amore vale più della vita,

le mie labbra canteranno la tua lode.

Così ti benedirò per tutta la vita:

nel tuo nome alzerò le mie mani.

Come saziato dai cibi migliori,

con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.

Quando nel mio letto di te mi ricordo

e penso a te nelle veglie notturne,

a te che sei stato il mio aiuto,

esulto di gioia all’ombra delle tue ali.

A te si stringe l’anima mia:

la tua destra mi sostiene.

dal Salmo 63

 

Dopo aver parlato di distruzione, disastri naturali, persecuzioni e tradimenti, Gesù conclude in modo sorprendente: «nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto». L’invito è ad avere fiducia, nonostante tutto, perché nel caos della storia lo sguardo del Signore è fisso su di me, non giudice che in­combe, ma custode innamo­rato di ogni mio frammento (E. Ronchi). Il senso di appartenenza e il sentirsi protetti e custoditi da Dio dovremmo forse re-impararli dai bambini e dai cristiani in stato di persecuzione. Noi, abituati ad avere tante sicurezze, siamo scarsi in affidamento e senza questo atteggiamento nessuna scelta definitiva è possibile nella vita: né dirsi un reciproco sì nel matrimonio cristiano; né credere fermamente che in ogni scelta di speciale consacrazione il lasciare non regge minimamente il confronto con il trovare, perché Dio assicura il suo conforto, la sua pace e il centuplo.

Un secondo atteggiamento che Gesù vuole far maturare in noi è la perseveranza. Mi vengono in mente queste parole di una canzone:


Sempre lì
Lì nel mezzo
Finché ce n'hai stai lì
Stai lì
Sempre lì
Lì nel mezzo
Finché ce n’hai
Finché ce n’hai stai lì

(da Una vita da mediano di Luciano Ligabue)

Si parla di un mediano, cioè di un giocatore di calcio che occupa un ruolo di fatica, sacrificio; un ruolo che richiede molta costanza e che spesso è relegato nel nascondimento, pur risultando strategico in una zona nevralgica del campo, dove “passa” il gioco.

Il mediano deve abituarsi più all’umiltà che alla gloria; più a costruire che a finalizzare… è un ruolo così ambito?

Probabilmente no, nello stesso modo in cui la perseveranza non sembra essere una virtù così attraente. Eppure è decisiva, perché, dice Gesù, «con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Quando preghiamo per le vocazioni, chiediamo il dono della perseveranza per quanti sono in cammino di discernimento o di formazione; ma chiediamo anche che quanti hanno già risposto alla chiamata ad essere preti o consacrati, si mantengano fedeli agli impegni che si sono assunti davanti a Dio, alla Chiesa, al mondo e non si perdano d’animo di fronte a insuccessi o incomprensioni.

 

Seguire il Cristo con cuore deciso,
non è accendere un fuoco d’artificio

che lampeggia e poi si spegne.

È entrare, poi rimanere, in un cammino di fiducia
che può durare tutta la vita.

La gioia del Vangelo,
lo spirito della lode,
supporrà sempre una decisione interiore.

Osare cantare il Cristo fino alla gioia serena...

Non una gioia qualsiasi,
ma quella che proviene direttamente dalle sorgenti del Vangelo.

frère Roger

Ai sadducei che pensano di riprodurre nell’aldilà le situazioni e i problemi che caratterizzano la vita terrena, Gesù annuncia un Dio che è Signore e garante di una vita cha ha avuto un inizio, ma non avrà fine. Chi, in Cristo risorto, sta presso Dio è vivo, e non potrebbe essere altrimenti. Se un rapporto vogliamo cercare, e dobbiamo farlo, tra quanto viviamo ora e quanto attendiamo nell’eternità, dobbiamo pensarlo non nel senso di una stanca ripetizione, ma del compimento.

Quelli che risorgono sono uguali agli angeli, dice Gesù: forse perché non hanno corpo? No, la nostra fede ci fa dire credo nella risurrezione della carne. In realtà, gli angeli contemplano Dio faccia a faccia: nella nostra condizione definitiva, potremo godere della visione di Dio, e siccome il vedere è legato al conoscere nell’amore, finalmente saremo capaci di amare pienamente, per sempre.

Se la risurrezione non annulla il corpo, significa che la nostra umanità e i nostri affetti non vengono cancellati: Dio non fa morire nulla di noi, ma lo trasforma perché raggiunga quel compimento per il quale siamo stati creati.

Dice ancora Gesù: Tutti vivono per lui (per Dio), cioè vivono perché sono suoi, gli appartengono.

In un chiamato a diventare prete questa appartenenza è particolarmente evidente. Se Dio lo ha scelto per un ministero così importante è per un amore che sa di predilezione: non è chiamato a diventare un angelo, cioè una persona asessuata, che cancella (e come potrebbe?) la sua corporeità, ma a riporre in Dio tutte le potenzialità di amore racchiuse nella propria sessualità, percorrendo un cammino di compimento del suo essere uomo, dei suoi sentimenti, pulsioni, desideri.

Questo è possibile per chi è chiamato e risponde con amore un sì che è per la vita.

 

Ti seguirò

Qualunque sia la mia età ti seguirò,

come gli operai che tu andavi a chiamare sulla piazza,

a tutte le ore, perché lavorassero nel tuo campo.

Ti seguirò anche se il mondo non capisce

e qualche volta disprezza

chi si dona completamente a te.

Ti seguirò per compiere l’opera

che tu hai incominciato

e che vuoi che noi, tue membra, portiamo a termine.

Ti seguirò con la prontezza di Pietro e di Andrea,

di Giacomo e di Giovanni che,

lasciate le reti e il loro padre,

si votarono irrevocabilmente a Te e alla tua opera.

Ti seguirò e non chiederò altro premio che Te

e il tuo amore, o mio Dio. Amen

«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva» (Benedetto XVI, enciclica Deus Caritas est, 1).

È stato così anche per Zaccheo. In quanto pubblicano e peccatore, chissà quanti sguardi di disprezzo, di odio avranno incrociato il suo. Ora, su di lui, si posa lo sguardo di Gesù, che non va in cerca per pri­ma cosa dei suoi peccati, ma della sua povertà, di ciò che gli manca per una vita piena.

La parola di Gesù non mi giudica per umiliarmi, ma interpella la parte migliore di me, quella che nessun peccato ar­riverà mai a cancellare.

In Zac­cheo è evidente una logica che ci sorprende: non ha potuto incontrare Gesù perché era a posto, ma è stato l’incontro con Gesù a cambiarlo. Questo ci ricorda che la chiamata del Signore, anche a diventare preti, non è riservata esclusivamente ai più buoni, ai più fedeli, ai più impegnati. Dio chiama nella sua libertà, magari anche chi è lontano, incostante, ai margini e proprio chiamando fa rinascere. Potenza del suo amore.

Il passaggio del Signore lascia un segno inconfondibile: un senso di pie­nezza, poi il superamento di sé, il desiderio della condivisione e della giustizia, la disponibilità pronta alla Sua chiamata.

 

Tutto questo tempo a chiedermi 
cos’è che non mi lascia in pace…
Tutti questi anni a chiedermi 
se vado veramente bene 
così come sono così. 
Così un giorno 
ho scritto sul quaderno: 
Io farò sognare il mondo con la musica. 
Non molto tempo 
dopo quando mi bastava 
fare un salto per 
raggiungere la felicità 
e la verità è che 
ho aspettato a lungo 
qualcosa che non c'è 
invece di guardare il sole sorgere
.

da Elisa – Qualcosa che non c’è

 

Signore Gesù, aiutami a non inseguire qualcosa che non c’è,

ma a riconoscerti come Sole che sorgendo

rischiara la vita del mondo,

la mia vita.

Fa’ che sappia lasciarmi rischiarare da Te,

per imparare a rischiare per Te.

La sincerità del cuore: condizione fondamentale per vivere la preghiera e poter così realmente incontrare Dio. Il termine sincerità esprime, tra le altre cose, l’attitudine a dire la verità.

Nella preghiera, qual è la verità che siamo chiamati a riconoscere?

Che Dio è grande, è buono, è misericordioso, è creatore, è padre; e che noi siamo piccoli, fragili, incoerenti, egoisti MA figli amati, perdonati, graditi sempre e comunque al Padre, restituiti alla vita dal mistero della morte e risurrezione di Gesù. Ecco la verità stupenda che possiamo sperimentare nella preghiera.

Per scoprirla, però, occorre imparare da Maria, l’umile serva in cui il Signore ha fatto grandi cose. Se siamo “pieni di noi stessi” la presenza discreta del Signore non può far breccia; se ci “svuotiamo di noi stessi”, dei nostri (illusori) meriti, delle nostre rivendicazioni, del nostro orgoglio, allora veniamo riempiti dello Spirito Santo e l’Amore di Dio ci dà una forza e una pace che vanno ben al di là delle nostre aspettative.  

Certe situazioni di fatica, sofferenza, fallimento di cui tutti facciamo esperienza possono farci maturare nella relazione con Dio: se ti scopri povero, se non hai più nulla su cui contare, rimane soltanto Lui… e ti basta.

Allora l’affidamento a Lui non avviene nonostante, ma proprio nella nostra debolezza, nel nostro essere peccatori.

Il sì che si può rispondere al Signore è possibile in virtù del Suo amore, non delle nostre capacità, successi, abilità.

Siamo chiamati perché amati e possiamo rispondere anche se siamo poveri... anzi possiamo rispondere se siamo poveri.

 

Amami così come sei ad ogni istante

e qualunque sia la situazione in cui ti trovi,

nel fervore o nell’aridità,

nella fedeltà o nell’infedeltà.

Amami così come sei, io voglio l’amore del tuo cuore povero e indigente.

Se, per amarmi, aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai.

Non potrei io forse trasformare ogni granello di sabbia

in un angelo radioso di purezza, di nobiltà e d’amore?

Non potrei, con un solo gesto della mano,

far nascere dal niente migliaia di santi

cento volte più perfetti di quelli che già ho creato?

Non sono forse Onnipotente?

E se io invece preferisco il tuo povero amore?

Da Marie Claire , “La mia preghiera di oggi” 

Mondo S: Ultimi numeri

 

Seminario Vittorio Veneto

 
Back to top