Incontro della scuola di preghiera
17 gennaio ’14
Gesù libera l’indemoniato di Gerasa
In ascolto della Parola di Dio
Mc 5 1Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. 2Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. 3Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, 4perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. 5Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi 7e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». 8Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». 9E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». 10E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. 11C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. 12E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». 13Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.
14I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. 15Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. 17Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.
18Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. 19Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». 20Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoliquello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.
Testo della lectio proposta
1. Alcune notizie introduttive per comprendere
1.1 - Il mare, di cui parla il testo, è il lago di Galilea, che si trova a Nord di Israele. Non è un mare, ma un lago d’acqua dolce, prodotto dal Giordano (affluente ed effluente). Per gli ebrei, avendo abbastanza acqua era già un mare: un luogo minaccioso, simbolo del male[1]. Già questo indizio è importante, perché ci collega al testo che sta immediatamente prima: Mc 4,35-41. In quella pagina, Gesù aveva sedato la tempesta, sempre sul mare di Galilea. Ciò significa che Gesù ha potere sulle forze della natura: le domina. Ma se il mare è simbolo del male, sedare la tempesta ha un significato molto più grande: Gesù è più forte delle forze del male. Egli le combatte e le vince.
L’episodio, che abbiamo ascoltato questa sera, è una sorta di estensione della pagina precedente: le forze del male, vinte sul lago di Galilea, ora Gesù le vince nell’indemoniato/nell’uomo, che gli corre incontro. È un annuncio di salvezza: un lieto annuncio, circa l’identità e la missione di Cristo, salvatore e liberatore dalle forze del male.
1.2 - Il paese dei Geraseni è discusso. Ci sono per lo meno tre possibilità sulla città indicata dall’evangelista [Gerasa, Gergesa, Gadara]. In tutti e tre i casi, comunque, si indica un luogo che sta fuori della Galilea, sul lato orientale del lago di Tiberiade, nella cosiddetta Decapoli: il territorio delle Dieci Città, una sorta di “confederazione di città”, che avevano una cultura e una religione proprie, diverse da quella ebraica. Il fatto che ci sia una mandria di porci ribadisce che siamo fuori dal mondo ebraico: gli ebrei non allevavano porci, considerati animali impuri (come per i mussulmani). Gesù si trova in un contesto pagano. È importante ricordarlo, perché questo significa che Gesù è venuto per salvare gli ebrei ma anche tutti gli altri popoli: la salvezza e la libertà, che egli offre, sono salvezza e libertà per tutti. Non solo per alcuni.
2. Entriamo nel testo
2.1 - Gesù scende dalla barca e non fa nemmeno a tempo a mettere il piede per terra, per così dire, che gli viene incontro uno. “Subito” dice Marco. Ci immaginiamo questo tale, tutto trafelato, che va verso Gesù. Chi è? Marco – come al solito – non lesina particolari “curiosi”: gli dedica quattro versetti, per descriverlo, ma soprattutto per descrivere la situazione in cui si trova: «Subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo.Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre». Una forma di possessione, che viene esplicitata ulteriormente qualche versetto dopo: «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». Qualche esegeta commenta queste righe dicendo che qui ci troviamo di fronte ad una “concentrazione delle forze del male”[2].
* Una domanda, che mi pongo, è la seguente: chi fa cosa? Cioè, l’io di questo tale è al centro dell’agire della sua persona o c’è qualcun altro che agisce al suo posto? Quando “dipendiamo” da qualcosa si pone la stessa domanda: sono io che agisco o è la cosa da cui dipendo, che mi fa agire? L’impressione è che quando uno dipende fortemente da qualcosa o da qualcuno, il suo “io” sparisce. Come nel caso dell’indemoniato: non è lui a parlare e ad agire, ma sono i mille demoni che hanno preso il controllo della sua vita. Ciò vale per la varie forme di dipendenza (droga, alcool…); ce ne sono anche altre di nuove (gioco [ludopatia], internet, si potrebbe continuare…). La stessa dinamica vale per il peccato, che non è “altra cosa” dalle forme di dipendenza...
Quando uno entra nella spirale della “dipendenza”, il suo io diventa evanescente: non è più capace di parlare e di agire. È reso insignificante. Un’ombra. Non sparisce del tutto, ma è lì come uno paltò appeso ad un attaccapanni. È qualcun altro che ha preso “possesso” della sua situazione (della sua persona).
2.2 - Una seconda considerazione mi attrae: come mai questo indemoniato non se ne sta alla larga da Gesù? Non sapeva forse che Gesù avrebbe fatto di tutto per salvarlo?
* Una prima risposta – più di carattere teologico - potrebbe essere che i demoni cercano di convincere Gesù a non combatterli: sanno già che Gesù è più forte di loro e non hanno modo di resistergli. È il disperato tentativo del perdente di scendere a patti con chi sta per vincere… Una scena “pietosa”, che però rivela la potenza inaudita di Cristo, che travolge le forza del male e libera natura e uomini dalle tenebre del male. È quindi una sottolineatura della forza liberatrice di Gesù e del suo vangelo.
* Credo si possa vedere però anche un secondo significato, più antropologico: questo andare dell’indemoniato verso Gesù segnala il fatto che questo “io”, seppur evanescente, parziale, reso minimo dalla dipendenza, non è morto. C’è un barlume di sé, che permane e che desidera la salvezza: la liberazione da questo stato di cose. Quasi tutti i “dipendenti” vorrebbero essere liberati. Solo che spesso questo desiderio resta “vago” o puramente velleitario e non si traduce in nulla di concreto. È un indizio di un desiderio di libertà, che permane anche nelle condizione di maggiore oscurità e tenebra. E tuttavia finché rimane così, puro desiderio, non condurrà a nulla. Insomma, questo correre dell’indemoniato da Gesù è segno di una lotta interiore nell’uomo: dipende da forze avverse, ma al tempo stesso desidera esserne liberato.
Tutto sommato, questo è un barlume di luce in un quadro oscuro e tenebroso. Anche nelle situazioni più oscure dell’esistenza, l’uomo continua a desiderare il cielo, la libertà, la vita in pienezza (il cento volte tanto…). E tuttavia dobbiamo fare attenzione a non gongolarci troppo per questa considerazione: non basta questo desiderio, perché la liberazione si attui… Ci vuole un duro cammino per riacquistare la libertà perduta. E non è scontato che l’esito sia positivo.
* Sostando ancora su questa ambiguità dell’indemoniato, va detta un’altra cosa. A volte chi è “dipendente” considera in un certo modo “libertà” la sua dipendenza: sì, riconosce che vorrebbe fare altrimenti, ma ci sono delle cose della sua dipendenza, che gli piacciono e a cui non vuole rinunciare… Addirittura, il percorso di liberazione è vissuto come una perdita della libertà, perché non si possono più fare le cose che si era abituati a fare prima: brutte, ma a loro modo piacevoli… L’indemoniato ha una sua libertà: spezza le catene, nessuno è in grado di resistere alla sua forza, vive da solo, tra i sepolcri… Nella solitudine, certo; ma anche nella più totale libertà dagli altri. Nessuno lo controlla. Nessuno gli dice quello che deve fare. Nessuno gli comanda! Seppure in una condizione estrema, anche questo stato di cose può essere considerato uno spazio di libertà.
- Chiediamoci: siamo disposti a rinunciare a tutto ciò che talune “dipendenze” ci offrono? Siamo disposti a rinunciare ai piaceri, che provengono da esse? Lo siamo davvero? O in verità alcune dipendenza un po’ ci fanno comodo, ci lusingano, ci piacciono e siamo contenti di tenerle presso di noi? Di coccolarle? “Signore, donami la santità, ma non subito… Signore, liberami dalle mie schiavitù, sì ma non subito…”.
* Il balzo verso la liberazione generalmente si fa quando si sta male. Ma male tanto. Quando si capisce che quella dipendenza ci sta portando alla distruzione. È la storia di tanti “dipendenti”. Devi stare proprio male per iniziare il cammino di risalita. Ci si libera dalle dipendenze quando si è capito chiaramente – non solo con la testa, ma con il cuore e con il corpo – che così non può andare avanti. Che così non può essere… Forse in quel dimenarsi, quel gridare e battersi il petto con pietre, dell’uomo del vangelo, si può intravedere la percezione dell’impossibilità di continuare così. Bisogna riconoscere di star male per cominciare la via di risalita (non scontata). Finché stiamo abbastanza bene o abbastanza male, tireremo avanti… tireremo a campà… Già! Pertanto, dobbiamo benedire quei momenti di sofferenza che ci svelano ciò che non va bene nella nostra vita. Sono sofferenze salvifiche, che ci spronano alla risalita… alla ricerca della libertà.
3. Sì, ma con te Gesù, quanta libertà avremo?
3.1 – Primo Assioma fondamentale: Gesù è uomo libero e vuole gente libera. Questo assioma ce lo dobbiamo mettere bene in testa. Gesù è un uomo libero e vuole gente libera che lo segua. Lo testimonia tutto il suo modo di esistere, il suo stile di vita… anche questo brano.
3.2 - Secondo Assioma fondamentale: l’incontro con Gesù è un incontro, che libera. Il vangelo ce lo annuncia chiaramente. L’incontro con lui libera l’uomo dalle sue schiavitù. Dalle forze del male. Accade in questo brano. Ma accade ovunque l’uomo lasci a Cristo di incontrarlo. Ecco, lì dove l’uomo va a Cristo e si lascia incontrare da lui, accade qualcosa di importante: inizia un cammino di libertà. Allora, si tratta innanzi tutto di andare da Gesù, di mettersi ai suoi piedi, di bussare alla sua porta, come fa questo tale, sebbene siamo presi da mille contraddizioni. Non valgono le scuse… Una preghiera del secolo scorso fa dire a Gesù: “Se aspetti di essere perfetto per amarmi, non mi amerai mai”. Gesù ci vuole come siamo, anche pieni di contraddizioni. Aspetta il nostro primo sì, anche se parziale e stentato, contraddittorio… Se aspettiamo di andare da lui quando finalmente avremo risolto tutti i nostri dubbi di fede, vinto tutti i nostri peccati, non ci andremo mai…
Il papa ai preti, qualche giorno fa, ha detto: «Noi sacerdoti abbiamo tanti limiti: siamo peccatori, tutti. Ma se andiamo da Gesù Cristo, se cerchiamo il Signore nella preghiera – la preghiera di intercessione, la preghiera di adorazione – siamo buoni sacerdoti, benché siamo peccatori. Ma se ci allontaniamo da Gesù Cristo, dobbiamo compensare questo con altri atteggiamenti… mondani. E così, tutte queste figure … anche il prete-affarista, il prete-imprenditore … Ma il prete che adora Gesù Cristo, il prete che parla con Gesù Cristo, il prete che cerca Gesù Cristo e che si lascia cercare da Gesù Cristo: questo è il centro della nostra vita. Se non c’è questo, perdiamo tutto. E cosa daremo alla gente?». Il prete custodisce la sua libertà nella misura in cui reitera il suo incontro con Gesù, altrimenti finisce schiavo di qualcosa d’altro…
3.3 – Passi di liberazione?
(1) Il brano ci permette di vedere come Gesù attui la liberazione dalla schiavitù. Innanzi tutto, Gesù combatte per ottenere la liberazione di questo uomo. La liberazione non avviene senza lotta e senza fatica. Ogni liberazione chiede combattimento. È la lotta dell’uomo: mia, tua, nostra… contro ciò che ci rende schiavi. Ma è anche la lotta di Gesù accanto a noi. Non siamo soli in questa lotta di liberazione. Gesù combatte insieme e con noi.
(2) Gesù chiede il nome allo spirito impuro. Anche questo ci può essere d’aiuto: si tratta di chiamare per nome le nostre debolezze, le nostre dipendenze… Ma più complessivamente, ci riusciamo solo se abbiamo con noi Gesù; se il nostro incontro con Gesù è autentico. È Cristo stesso che smaschera quelle schiavitù che fino a prima avevamo coccolato e nascosto a noi stessi. La sua presenza in noi chiarifica, porta luce e fa uscire i demoni allo scoperto. Insomma, la sua presenza in noi porta verità, fa luce, ci permette di vedere il parassita, che ci portiamo appresso...
(3) C’è un’altra cosa importante. Il fatto dei porci! Duemila suini che si gettano nel lago… E’ un “trucchetto” usato da Gesù per sbarazzarsi dello spirito impuro? Mi piace pensare che sia così. Infatti, bisogna agire con scaltrezza anche noi con le nostre debolezze, le nostre pigrizie e le nostre dipendenze; sennò ti intortano e tornano a minacciare la tua libertà. Perciò, bisogna essere decisi e spietati. BP diceva: “Le cattive abitudini sono come i denti guasti: vanno tolte”. E bisogna agire con intelligenza, prevedendo le situazioni: se so che in quella situazione cado nella mia solita schiavitù, cercherò di tenermi lontano da essa…
(4) Un’ultima cosa: la libertà acquisita conosce il rischio del “ritorno”. Ci deve preoccupare la reazione della gente, che allontana Gesù dal proprio territorio. L’uomo ha paura della libertà. Abbiamo paura di star bene. Preferisce la schiavitù, la dipendenza (Erich Fromm: Fuga dalla libertà). Il desiderio di “tornare indietro” – cioè, alle schiavitù e alle dipendenze “note” - è sempre vivo. Penso ad un altro testo del vangelo (Mt 12,43-45):«Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo, ma non ne trova. Allora dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. E, venuto, la trova vuota, spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora; e l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima». La libertà va custodita. Altrimenti si precipita in una situazione peggiore di prima. Attenzione! La libertà è un processo dinamico, che non è mai concluso una volta per tutte. Bisogna vigilare, continuare a combattere sempre, per custodirla.
4. Conclusione
* Che libertà ci offre Gesù? Ci risponde il vangelo di questa sera: «Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione… Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te”. Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui». La libertà che Gesù offre è una libertà “sobria”, caratterizzata da una profonda serenità interiore, da una pace radicata. Niente di eclatante. Potremmo dire che la libertà dalle dipendenze, che Gesù ci chiede e alla quale ci aiuta a giungere, ci consegna un’esistenza rappacificata, riconciliata. Si ritrova l’unità in noi: una sostanziale unità, che le schiavitù e le dipendenze invece spezzano, dilaniano… Il “cento volte” tanto è una vita nella quale l’uomo torna ad essere uno, riconciliato in se stesso, presente a se stesso, capace di “guidare la sua canoa” e di gestire la propria vita; capace anche di stare con gli altri e di mettersi in relazione con loro; capace anche di mettersi a disposizione di Gesù per diventare un suo messaggero…
* Lascerei una domanda ed una preghiera: “Da che cosa, da quale forma di schiavitù o dipendenza… devo liberarmi?”.
O Dio, che hai ispirato a
San Antonio Abate di ritirarsi
nel deserto, per servirti
in un modello sublime
di vita cristiana, libera
anche a noi per sua intercessione,
dai nostri egoismi
per amare te sopra ogni cosa,
per Cristo nostro Signore.
Amen.
[1] Gli ebrei, pur essendo sulle sponde del mediterraneo, non si sono mai impegnati sul mare, con flotte o con conquiste costiere, perché hanno sempre diffidato del mare.
[2] In questo brano non si parla di “diavolo/demonio”. Si parla di “spirito impuro” e di “indemoniato”, cioè abitato da “demoni”, che sono forze negative, ma non necessariamente il diavolo in persona. Comunque, possiamo essere più o meno allergici a sentire parlare di diavolo: in ogni caso, lì dove c’è il male, gioco-forza c’è anche l’azione e la presenza dell’antico avversario, direttamente o indirettamente.