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2015-01 CardStella

In occasione della festa di san Tiziano il Cardinale Beniamino Stella è venuto a far visita alla sua diocesi di origine, presiedendo la solenne celebrazione del mattino, per poi pranzare in Seminario, insieme a noi, giovani seminaristi. La prima cosa che mi ha colpito incontrando questo stretto collaboratore di papa Francesco, è una sorprendente quanto spiazzante semplicità. Una semplicità che caratterizza tutta la sua persona, vestiario compreso. Una semplicità che è frutto di tanti anni di ministero passati in mezzo alla gente, nei contesti più vari, condividendone le gioie e le speranze così come i dolori e le difficoltà, con un occhio particolare riservato ai poveri. È l’atteggiamento che ripetutamente il papa raccomanda ai suoi pastori, e che don Beniamino (come amano ancora chiamarlo i pievigini, suoi compaesani) ci ha testimoniato e ci ha incoraggiato a perseguire. Già nella santa messa del mattino, il cardinale ha dato prova con la sua omelia di saper essere incisivo ed allo stesso tempo facilmente comprensibile da chiunque. Al centro del suo discorso, il prefetto della Congregazione per il clero ha posto il tema della vocazione. Ha parlato della «visione vocazionale» che caratterizza la vita di ogni cristiano, ma ha sottolineato in particolare l’importanza della vocazione al sacerdozio, con la quale un giovane, vivendo «mano nella mano» col Signore Gesù, decide di appartenergli in maniera più intima e di mettersi al servizio dei fratelli. Egli ha anche suggerito (attraverso il racconto di una originale storiella) un piccolo rimedio alla mancanza di vocazioni, ossia il testimoniare che seguire il Signore, con la vita più che con le parole, rende felici. Egli ha poi approfondito questi temi nell’incontro riservato a noi giovani della comunità di teologia e della comunità vocazionale. Spesso nel suo discorso spontaneamente faceva riferimento alle parole del papa, soprattutto alle sue omelie di S. Marta. Non ha delineato il modello di prete che dovrebbe “sfornare” ogni seminario, ma ci ha ricordato i punti fermi della nostra formazione (la Parola di Dio, lo studio, l’eucarestia, il maturare una speciale intimità col Signore Gesù), e ci ha detto quale dovrebbe essere secondo lui la preoccupazione fondamentale di ogni sacerdote: la gente. Ogni prete infatti se vuole svolgere bene il proprio ministero deve voler bene alla propria gente, ascoltare i suoi parrocchiani, imparare da loro. Deve insomma vivere quella carità pastorale, che caratterizza il suo ministero e la sua missione. Una prospettiva questa che rende “gustosa” la vita del prete, bella, attraente, degna di essere vissuta e di essere proposta ai tanti giovani che ancora oggi il Signore sta chiamando per aiutarlo a pascere il suo gregge.

Mauro Polesello

 

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