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Testi dell'incontro di venerdì 15 novembre 2013.

 

In ascolto della Parola di Dio

Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?". Egli rispose: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti". Ed egli chiese: "Quali?". Gesù rispose: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso".  Il giovane gli disse: "Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?". Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi". Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.

 

(Mt 19, 16-22)

 

Testo della lectio proposta

Cosa fare per avere vita? Gesù ne offre in abbondanza, dove è la vera vita? dove la vita buona? che stile di vita?

 

 

Intervento:

 

Dicono che il volto del ricco si rabbuiò come per l’arrivo di un temporale estivo…

Ma la vita cristiana e gioia e pace nello Spirito Santo. In realtà nel cuore, sappiamo che non possiamo mettere in pratica il vangelo e dirci cristiani se non ci lasciamo guidare dalla domanda che si porta nel cuore il protagonista del vangelo di questa sera. Che cos’è la vita eterna? Oppure che cosa rende la vita eterna?

Dice Qohelet: Dio ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine.

Ognuno è chiamato a dare il nome giusto al suo bisogno di eternità. Ed occorre capire se e quanto questa parola di Dio illumini le nostre incertezze nuvolose, se in poche parole, ci lasciamo accompagnare dal Maestro Gesù, uno che di vita eterna ne sa perché la sua vita quotidiana ha continui lampi di eternità e sguardi illuminanti nel cuore di ciascuno. Il Signore con le sue parole ci illumina e avverte del pericolo di rimanere nel nostro cuore chiuso e buio.

Che cos’è ricchezza?

 

 

Che cos’è la ricchezza? Ciò che possiedo, ciò che gestisco, ciò che ho guadagnato o mantenuto grazie al mio ingegno, alle mie capacità. Frutto della mia scaltrezza o della mia forza di volontà.

La ricchezza è insomma il bene che senti tuo e che senti pure minacciato dagli altri. Forse qualcuno ti invidia per la tua ricchezza, forse qualcuno è pronto a portarti via ciò che è tuo.

 

Ma sto parlando a giovani, che magari non hanno grandi patrimoni da gestire, ora come ora, persone che non hanno la preoccupazione di fare soldi… e che potrebbero pensare: ah, grazie Signore, che non mi hai fatto come questo uomo ricco, che non sa riconoscerti ed essere riconoscente. Io se ti avessi incontrato per strada, ti avrei seguito dovunque.

 

Eppure, se pensassimo alla ricchezza di beni in un altro modo? Se non fosse un problema di ricchezza di mezzi, ma di abbondanza di tempo, di progetti, di esperienze fatte e da fare? Se fosse una quantità cospicua di forza fisica, di bellezza o semplicemente di salute. Se fosse la ricchezza di non aver bisogno né del medico, né del dietista, né del farmacista… Se fosse una sicurezza di benessere: sto bene, fin che c’è la salute c’è tutto.

Allora quel “va vendi quello che hai” cosa diventa? Una domanda scomoda per ciascuno

Assomiglia alla domanda radicale che generatrice di buio: Chi osa mettere a repentaglio radicalmente la mia vita?

Un piccolo imprenditore delle nostre parti mi disse un giorno: lavoro tanto e mi do da fare e non prendo pause perché il mio lavoro mi piace, ma sai d. Marco perché ci diamo tanto da fare qui a Nordest? Perché lavorando cerchiamo di non pensare alla nostra paura, la paura che la vita finisca, la paura della morte”. Mosso dalla paura della morte l’uomo vuole preservare con ogni mezzo la propria ricchezza più grande, la propria vita, e tende a tenere per sé i beni che, secondo lui, gli garantiscono lo stare in vita! Se si potesse non morire, magari! Ma la paura di perdere, vita, relazioni, e beni ci porta ad affermare noi stessi, a considerare buono e giusto solo ciò che ci dà una sicurezza tutta umana di avere le mani sopra, di controllare, di gestire e di gestirmi da solo.

Così il mio sogno, la mia realizzazione, la mia carriera diventano l’idea di vita eterna per me: la qualità della mia vita felice… quindi guai a chi la mette a repentaglio e ciascuno è pregato di arrangiarsi…

Con quale esito? La morte non è tolta, la libertà è sgualcita e rimango preda di ciò che voglio controllare, la mia vita è ricca di esperienze, di relazioni usa e getta o che mi usano e mi gettano, ma sono e resto vuoto. A tratti fa capolino la tristezza… non quando si è giovani giovani…, quando si è giovani solo qualche volta, e basta non pensarci troppo e distrarsi (magari con un bel po’ di volontariato), in fin dei conti il capitale vita, affetti, relazioni, tempo è enorme e ce ne vuole per eroderlo… pensiamo.

Ecco perché Gesù nella lista del ripasso di catechismo introduce un frase nuova e decisiva che scardina dalle certezze: “ami tuo fratello come te stesso, pronto a condividere con lui ciò che hai di più prezioso, la tua ricchezza cioè quel tesoro che impegna il tuo cuore, i tuoi sogni, i tuoi progetti, il tuo tempo, la tua vita?

Quello risponde… ho osservato ma in realtà a solo dato un’occhiata. E al nuovo affondo di Gesù, cede strutturalmente, crolla.

Il giovane ricco del vangelo si trova ad essere anzitempo vittima di un vizio che te lo immagineresti solo nei vecchi: l’avarizia. La paura di perdere lo invade di tristezza, si fissa su ciò che ha, da quel momento non dà e non riceve: ecco la tristezza quella sensazione che spoglia da ogni piacere, ti impedisce di gustare la tua ricchezza e ti lascia arido il cuore. Come un conto in banca altissimo… e bloccato, inutilizzabile. L’amore per i suoi beni, la passione per ciò che è suo, lo sottrae al vero amore: incontrare e vivere in comunione.

Si attacca al suo bene per non dipendere da nessuno, e meno che meno da Gesù. Cerca un domani a cui bastare a se stesso, un orizzonte dal quale gli altri sono esclusi, o compresi part-time se possono occorrere per qualche cerotto sulle ferite della vita.

Il giovane ricco pone la sfiducia sul dono che il Signore gli fa: il Signore chiede di condividere con il povero (di umanità, di relazioni, di senso), e di essere discepolo. Infatti seguire Gesù libero, gioioso, nell’amore e nel dono, porta ad una pienezza che ti sradica dalla paura di morire, di perdere. il Cristo è la ricchezza che salva.

All’adesione alla ricchezza disonesta, disonesta perché isola, stacca dagli altri e strozza l’amore, il Maestro propone una adesione di fiducia, sulla sua parola, un affidarsi ai poveri per diffidare delle ricchezze. Egli offre cento volte di più, ma il ricco, di beni e di tempo, di anni da vivere, preferisce non fidarsi. E il centuplo diventa un centesimo di tutto, tanti “provare”, “fare esperienza”, “vedere”. Condividere poteva moltiplicare, ma il 100 per lui va a denominatore.

L’unico modo che abbiamo per non morire e rendere le nostre ricchezze un dono da condividere.

È la logica del dono. Offrire gratuitamente, spendermi per costruire relazioni di fraternità con l’altro. Vita eterna diventa più precisamente la mia vita quando l’altro è il Signore Gesù ed Egli diventa per me la vera ricchezza. Con questa eternità di vita coloro che incontro diventano il bene per me e sento di valere ai loro occhi con la mia vita.

Il dono è il ponte che attraversiamo ogni volta che andiamo da qualcuno per farlo diventare fratello, o amico, o amato, o lo vogliamo scoprire bisognoso e sofferente. Questo ponte del dono è costruito sulla ricchezza che ciascuno ha. Il dono è il catalizzatore, che può anche scomparire, non partecipare alla reazione, ma trasforma me in un dono per l’altro e l’altro in un dono per me.

Il primo dono, il dono che rende giusta la ricchezza di bene, di beni e di tempo è lo sguardo del maestro su ciascuno di noi. E la nostra risposta personale, unica ed insostituibile a quello sguardo.

Che sia questo il modo per poter non morire? Ne sono certo!

Occorre riconoscere che ciò che possiedo, beni e tempo, vita progetti, se non mi porta a Dio, diventa idolo. Scrive il papa (Francesco) nella Lumen Fidei:

 

vi è idolatria « quando un volto si rivolge riverente a un volto che non è un volto ». Invece della fede in Dio si preferisce adorare l’idolo, il cui volto si può fissare, la cui origine è nota perché fatto da noi. Davanti all’idolo non si rischia la possibilità di una chiamata che faccia uscire dalle proprie sicurezze, perché gli idoli «hanno bocca e non parlano» (Sal 115,5). Capiamo allora che l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani. L’uomo, perso l’orientamento fondamentale che dà unità alla sua esistenza, si disperde nella molteplicità dei suoi desideri; … si disintegra nei mille istanti della sua storia. (Per questo l’idolatria è sempre politeismo, movimento senza meta da un signore all’altro). L’idolatria non offre un cammino, ma una molteplicità di sentieri, che non conducono a una meta certa e configurano piuttosto un labirinto. Chi non vuole affidarsi a Dio deve ascoltare le voci dei tanti idoli che gli gridano: “Affidati a me!”. La fede in quanto legata alla conversione, è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale. Credere significa affidarsi a un amore misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta l’esistenza, che si mostra potente nella sua capacità di raddrizzare le storture della nostra storia. La fede consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio. Ecco il paradosso: nel continuo volgersi verso il Signore, l’uomo trova una strada stabile che lo libera dal movimento dispersivo cui lo sottomettono gli idoli. (13)

 

Vi voglio raccontare una breve storia che ci faccia capire meglio questa gratuità evangelica e ci liberi dal calcolo e dal peso di ricchezze senza amore.

 

racconto degli sposi di boemia

 

e vissero felici e contenti... per sempre.

Così, nella gratuità e nel dono di noi stessi, avvolti dallo sguardo confidente del Signore Gesù e dalle sue parole, si potrebbe non morire!

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