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Dal Vangelo secondo Matteo
Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento».
(Matteo 3, 13-17)

Ciò che padre non è...

Ho letto un po' di storie sui sentimenti che ci auguriamo ogni anno per l'inizio sperando che qualcosa si avveri o che per lo meno nulla peggiori. Ebbene in queste storie e nella descrizione di sentimenti e valori che dovrebbero essere ingredienti per una vita felice non ho trovato nessun riferimento a Dio (passi...) ma nemmeno ad un padre o ad una madre. L'unica figura parentale che abbia fatto capire che almeno uno degli scrittori non era venuto al mondo arrivando dallo spazio è uno scrittore di origini russe: si riferiva all'insegnamento di suo nonno.

Ho letto del sentimento della compassione senza che l'autore dicesse di averla imparata da qualcun altro che avesse avuto compassione verso di lui. Ho pensato: ogni valore che impariamo da una testimonianza vagliata solo da noi stessi ci rende superbi, dandoci l'impressione che nel quadro di riferimento degli assi cartesiani noi siamo lo zero. Zero che sta anche per O.: origine. In realtà con questo sguardo superbo e autoriferito tutto sembra partire da noi senza che ci sia un'altra origine, senza che conti in buona sostanza chi è mia Madre o chi sia mio Padre. E la nostra fede quando è in crisi mette proprio in dubbio che un Dio stia all'origine, che un Dio sia generatore perché amore, che Dio sia Padre.

Dio è Padre!

Quando ero ragazzino mi colpì il fatto che sul frontespizio di una bibbia ci fosse scritto "lettera d'amore di Dio per gli uomini". Ma la sacra scrittura non viene più avvicinata (lo si è mai fatto davvero?) per cercare di leggerci, di guardarci allo specchio, di capire di chi siamo figli... e che anche Dio come Padre ha molto da dirci perché ci ha dato tutto.

Ancora oggi egli ci ricorda che l'iniziativa è sua e suo il progetto geniale... riguardo alla nostra vita: egli offre un in Gesù il prototipo di un incontro da padre a figlio.
Ecco, nella mia riflessione vorrei condividere alcuni pensieri e letture personali che rileggono il tema dell'essere belli in quanto santi, poiché siamo belli di Papà, belli di quell'Abbà Padre che si rivela chiaramente nel battesimo, in quello di Gesù, e nel nostro, non come atto unico ma come condizione continua, un participio passato che diventa participio presente: battezzato una volta per tutte, sei chiamato ad essere credente e figlio ogni giorno. Quindi non voglio parlare direttamente di santità se non per difetto, sapendo che santità è come l'amore ed è come il nome stesso di Dio... non bisogna nominarlo invano.
Dice san Giovanni:
"Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è". (1 Gv 3,2)
Ciò significa che in sostanza la bellezza di essere figli di Dio Padre coincide con il vederlo: e questa è la santità.

Per la nostra fede cristiana, ereditata dai padri... cioè passata di padre/madre in figlio e suggellata dal sacramento unico, irripetibile ed incancellabile del battesimo, l'essere figli, diventare figli di Dio è talmente rilevante che senza questa parola non sarebbe comprensibile e risulterebbe disarticolata, l'intera sacra scrittura e l'esperienza da credenti cristiani distinta da quella di tutte le religioni del mondo (Nell'Islam è detto a chiare lettere: sulla facciata della moschea di Omar che sorge nel posto che era del tempio di Gerusalemme: Dio non ha figli)

Impariamo ad essere Figli

L'essere figli oggi è una questione di portata epocale: figlio biologico, genitore uno, genitore due, cultura senza punti di riferimento, epoca senza padri... essere figli è una realtà evanescente, non politicamente interessante... da relegare ad un diritto più che ad una condizione essenziale, naturale, del vivere. Preferiamo dire che siamo figli di espressioni quali: Liberté-egalité-fraternité; cogito ergo sum (penso dunque sono); sàpere aude (pensa con la tua testa... Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!)
Di fronte a questi slogan che certo hanno marcato il passo di uno sviluppo notevole della cultura e della civiltà non possiamo e non dobbiamo dimenticarci della nostra condizione universale ed elementare: siamo e saremo per sempre figli... che cercano la relazione più equilibrata con padre e madre, figli appartenenti ad un epoca e con tutto il tempo necessario per donare vita, sapienza e fede a chi verrà dopo di noi.

Siamo "figli dell'uomo" (sal 8) dice la scrittura... e questo è il limite...l'orizzonte, ma anche una grazia straordinaria, tutta "nostra".
Eppure non è una questione ancora cercata con coraggio... forse per questo l'essere figli di Dio in Cristo è ancora qualcosa che ci sfugge e che rimuoviamo o rifiutiamo "dandoci alla macchia" in tanti modi.
Perché non tornare alla Parola di Dio per dare consistenza e praticabilità a ciò che è vero fin alla radice di noi?
Sentite cosa dice il libro della sapienza (7, 1-6)
1 Anch'io sono un uomo mortale uguale a tutti,
discendente del primo uomo plasmato con la terra.
La mia carne fu modellata nel grembo di mia madre,
2nello spazio di dieci mesi ho preso consistenza nel sangue,
dal seme d'un uomo e dal piacere compagno del sonno.
3Anch'io alla nascita ho respirato l'aria comune
e sono caduto sulla terra dove tutti soffrono allo stesso modo;
come per tutti, il pianto fu la mia prima voce.
4Fui allevato in fasce e circondato di cure;
5nessun re ebbe un inizio di vita diverso.
6Una sola è l'entrata di tutti nella vita e uguale ne è l'uscita.

Ascoltare questa parola e riconciliarci con la nostra nascita a figli è il primo passo di una spiritualità cristiana cioè di figli belli (il superlativo sarebbe d'obbligo trattandosi di Dio), di una esistenza da battezzati (rinati dall'acqua e dallo Spirito Santo come se la chiesa madre avesse anch'essa un grembo sempre fecondo,) è il nostro compito! Dura una vita intera... figli si diventa per dono e per amore di altri e lo si è sino alla fine. Ma il dono è sempre una responsabilità.
Non aver paura di essere Figlio, nemmeno con il rifiuto che si nasconde dietro al risentimento: tipo: "nessuno mi ha chiesto prima se volevo nascere!" E come sarebbe potuto accadere... sindrome da centralità in assi cartesiani...
Piuttosto ascolta la parola... è la parola che ci genera, sempre. Diventa bello essere figli se ascoltiamo la parola di chi ci ha generati. Non credete? Chiedetelo a chi a perso il padre o la madre... vorrebbero sentire ancora una sola loro parola...

Figli grazie al Figlio e nello Spirito

Dio come Padre è amore e parola che genera sempre e per sempre. Questa è la bellezza di Gesù Cristo come figlio "l'amato, in cui mi sono compiaciuto", unico capace di conoscere e far conoscere il Padre ai piccoli e di insegnare loro il suo nome: Abbà.
Per l'evangelista Giovanni questo Figlio amato è molto di più: è l'unico originario destinatario e mediatore del travaso pieno, diretto e completo, senza residui, della vita divina, l'unico erede a propria volta abilitato a mediarla in pienezza e abbondanza (Gv 10,10).
Questa è la bellezza dell'essere figlio di Dio per Gesù... e di questa bellezza il Padre ci rende "capaci", plasmandoci su di lui come modello.

Con il battesimo al Giordano Gesù comincia a rendere pubblica la sua vocazione: è il figlio di Dio che ci vuole fare tutti figli del Padre. La vocazione di Gesù è speculare in qualche modo alla nostra: battezzati nel Figlio portiamo l'immagine e la somiglianza, la firma del Padre.
Ora la genialità del Creatore non può esaurirsi in un'opera sola: Egli pone sull'umanità di Gesù il segno distintivo dello Spirito affinché tutti coloro che gli assomigliano, grazie al dono del battesimo, diventino immagini autentiche di Lui.

Figli di Dio, segno di santità e capolavoro di bellezza

Il battesimo è anche il sigillo di una stessa responsabilità: siamo chiamati a coinvolgere altri in questa opera d'arte che è l'umanità cristiana.
Dunque abbiamo un battesimo quale firma di autenticazione: il Signore Gesù appartiene alla nostra generazione e noi apparteniamo alla sua famiglia, alla sua eredità, siamo figli del Padre.

È una cosa giusta! È questione di Giustizia da compiere... è in ballo il corretto rapporto con Dio che ora in Gesù Cristo diventa possibile. Grazie a Lui siamo chiamati per nome, eletti dalla grazia e dalla bellezza di Gesù ad essere credenti pienamente partecipi del suo essere Figlio.
Da ora in poi credente = figlio di Dio... questa è la bellezza!

San Paolo direbbe che abbiamo la vocazione (tutti) di essere figli adottivi.
...E che voi siete figli, lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: "Abbà! Padre!". Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio» (Gal 4,4-7).
Ciò significa che È possibile conoscere il contenuto della chiamata ad essere figli di Dio solo a partire dal Figlio e, più precisamente, dalla singolare relazione con il Padre che egli ha vissuto e rivelato nella sua vicenda terrena. All'elezione compiuta da Dio fin dall'eternità corrisponde, dunque, la forma filiale della vita umana quale si manifesta in modo unico e insuperabile nella persona e nella storia di Gesù.

In altri termini, quella insita nella condizione filiale è una libertà che riconosce di non essere l'origine del bene e dei valori, ma di essere ricevuta e sa che in questo dono è insita una vocazione a realizzare in pienezza la libertà ricevuta. Proprio come suggerisce l'esperienza umana della generazione secondo la quale, per una vita riuscita, i figli debbono riconoscere la loro origine e insieme, i genitori devono permettere ai figli di diventare se stessi in libertà, senza renderli schiavi con la proiezione dei loro desideri.

Uno spunto pratico: occorre tornare a Gesù Cristo: conoscerlo, volergli proprio bene, pensare come lui, amare come lui... e occorre quindi far parte attiva di quella esperienza che lui ha fondato: una chiesa di uomini e donne, che ascoltano la parola di Dio, vivono il servizio, la preghiera e la fraternità.

Santità come testimonianza di bellezza

Dentro al vangelo che abbiamo ascoltato c'è l'abbozzo, la gemma di ciò che siamo e la chiave per leggere e comprendere ogni parola di Dio ed ogni sacramento della nostra Chiesa! Scopre che Dio è Padre solo chi vive nella chiesa e per la chiesa (madre), guida di senso, ricca di proposte da vivere.
Lo so, lo sappiamo tutti bene; spesso il cristianesimo resta più una questione di nome che di fatto, una formalità, un battesimo all'acqua di rose. Quando ciò succede si cavilla su problemi sterili, non si trova più la gioia del vangelo, ma lo si considera un peso, una palla al piede (e soprattutto non lo si legge). Diventa limite e non energia. Diventa anche un facile capo di accusa per quanti ci trovano fiacchi e poco convinti, magari credenti ma non praticanti, forse attaccati alle consuetudini, ma tiepidi nelle scelte decisive, deboli, molluschi di fronte alla responsabilità, pavidi di fronte a chi riduce la nostra fede, il nostro Dio, ... la nostra Chiesa... ad un accessorio da bambini e donnicciole. La fede del credente che non vive in pratica il suo battesimo è già moribonda e ferisce mortalmente la fede dei fratelli.

Forse basterebbe semplicemente riconciliarci con la nostra storia e con chi ci è Padre per poter ri-vedere tale bellezza.
Non è forse guardando alla vita di santità che ci circonda, nelle nostre parrocchie, nelle nostre famiglie, nei grandi santi della nostra stessa fede che ci può far riscoprire la bellezza di Dio sempre antica e sempre nuova? (Agostino, Francesco, Chiara, Teresa, Tiziano... )
Non è forse che tendiamo a gettare la spugna troppo in fretta quando si tratta di lottare per la bellezza del nostro essere figli di Dio?
Ritornare ad essere figli è una scelta... da figliol prodigo, che sperperata la sua dignità rientra in sé e s'accorge che non può nutrirsi se non della sua storia, delle sue origini, dell'essere figlio di un padre che non lo lascia mai... un legame sfilacciato ma mai interrotto. Allora cosa fa? Decide di ritornare alle origini, all'origine. E il padre cosa fa? Lo riveste della sua bellezza: lo chiama figlio. Volete dirmi che questo non è bellezza della bellezza? Possiamo davvero rinunciare al nostro essere figli, possiamo fare a meno del Padre?

I santi... e le persone sante ci dicono che la vita battesimale è una novità assoluta nel modo di vivere di una persona una possibilità di pienezza e compimento che altrimenti mancherebbe. (Una Ferrari guidata come fosse una 2 cavalli). Occorre riconoscere che siamo già figli di Dio, occorre reagire anzitutto nel concreto della vita quotidiana, cercare la differenza qualitativa che porta nella storia del mondo il nostro essere riempiti dello Spirito santo. Il cristiano grazie al proprio battesimo ha un ottimismo costruttivo, porta una testimonianza di bene che dà sempre frutto, costruisce relazioni fedeli e durature, porta gioia ed anche prosperità... ma nella fraternità.
Si compie la bellezza della nostra umanità sia perché ci affidiamo senza riserve a Dio sia perché cerchiamo il modo più opportuno per dedicarci agli altri... e diventiamo per questo irradianti della bellezza di Dio stesso. Ma come fai a non accorgerti che, fin dal battesimo, anche tu sei il figlio nel quale Dio Padre gongola (esulta, non sta nella pelle) di felicità e dice a tutto il creato compiaciuto e fiero: li vedete, questi battezzati... questa: è mia figlia... e anche quest'altro: è mio figlio!

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