Eccoci ormai arrivati al termine del mese missionario straordinario voluto da Papa Francesco per “risvegliare la consapevolezza della missio ad gentes e riprendere con nuovo slancio la responsabilità dell’annuncio del Vangelo”. Un messaggio che il Papa ha lanciato alla Chiesa intera già con la Evangelii Gaudium (n. 5): “L’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa”. La missione, quindi, come essenziale alla vita della Chiesa. Non semplicemente una sua opera in aggiunta alle tante, ma la sua essenza, la sua ragion d’essere, conforme al dettato evangelico “andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Non può esistere cristiano battezzato che non sia per sua natura missionario. Da qui lo slogan del mese missionario straordinario: “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”. Il mondo di ognuno di noi, quello che calpestiamo ogni giorno, che ci viene incontro, esigente e severo, in auto, in treno, in famiglia, in parrocchia, tra gli amici. Ovunque siamo in missione.
Lo abbiamo condiviso in Seminario in vari momenti di incontro, di riflessione e di scambio con sacerdoti e testimoni che hanno vissuto, o che si apprestano a vivere, un tempo in cui, come esorta Papa Francesco nella Christus Vivit (n. 289), “mettersi molto in gioco, rischiare”, per gli altri. Le nostre comunità parrocchiali si devono sintonizzare sempre di più su questa frequenza di essenzialità. Rischiano di diventare mere distributori di servizi. E’ Cruciale che nella missione ci sia la centralità di Gesù Cristo, il coraggio di tenere al centro la fede in Lui. Ce lo ha ricordato il Vescovo di Livramento, in Brasile, mons. Armando Bucciol. Lui permette di non perdersi dentro a contorni indefiniti. Con Lui s’impara a fidarsi della provvidenza, a mettersi in ascolto, a non sentirsi scollegati, fuori dal mondo. E’ stato così nell’esperienza di Laura e Michele, quattro anni in Perù con i loro bambini, e di Silvana, impegnata su vari fronti in “uscita”. Senza Cristo al centro (cioè nel cuore della Chiesa) l’azione missionaria è vuota, non serve a nulla e a nessuno.
Non si va in missione per irrequietezza spirituale, per disagio ecclesiale, per crisi personale. Si va in missione perché Lui, il Signore, chiama ed invia: per raccontare la bellezza del Vangelo… per raccontare il valore della vita cristiana… per accogliere così com’è (persona!) il povero, bambino, anziano, abbandonato. Colui che desidera essere battezzato e “farsi” cristiano, che ti si para davanti e magari non sai da che parte prenderlo. Queste le affascinanti testimonianze di vita di don Marco, don Nicivaldo, don Adriano, don Giuseppe.
Cosa portarsi nel cammino della missione? Due cose indica Gesù nel vangelo (Mc 6,8.9): il bastone e i sandali, ovvero soltanto ciò che serve per camminare. La missione non può che avere il volto della leggerezza, dello slancio, della “uscita da noi”. Permette di superare il rischio latente della “sedentarizzazione” spirituale, mentale, del cuore. Così i Seminaristi si sono lasciati provocare: leggerezza, cammino (anche veloce), relazione, com-passione… In queste dinamiche di vita si avverano le parole di Papa Francesco: “Quando saprai piangere, soltanto allora sarai capace di fare qualcosa per gli altri con il cuore” (CV 76).
don Luigino Zago
(da L’Azione n° 45 – domenica 3 novembre 2019)