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Nell’anno formativo appena cominciato, le Comunità del Seminario (Teologia, Giovanile, Vocazionale) si confronteranno con un tema che sarà come una “finestra” mediante la quale aprirsi all’integralità del cammino(dimensione spirituale, umana, intellettuale e pastorale), perché la crescita sia di tutta la persona e della comunità.

“I care”: ecco lo slogan scelto quest’anno. Si potrebbe tradurre con “mi sta a cuore”, “ci tengo”, “mi appassiona”. C’è un brano del profeta Osea che ci aiuta a capire meglio: «Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,1-4). Il profeta racconta la cura che Dio ha per il suo popolo. Non sempre, a questa cura del Padre per noi, corrisponde da parte nostra un prenderci cura degli altri e di quanto in una giornata siamo chiamati a vivere. Può succedere anche in Seminario che le tante cose da fare, o le diverse esperienze da vivere, siano fatte “così, tanto per fare”, magari con fretta e poca cura, con svogliatezza e qualunquismo: studio, servizi, ordine e pulizia degli ambienti, momenti formativi e incontri con le persone (dentro o fuori la comunità)… a volte anche la preghiera (comunitaria e personale), i ritiri spirituali, gli incontri con gli educatori, gli impegni pastorali in parrocchia.

Un aspetto che le persone notano subito in un prete è se “ci mette il cuore” in quello che fa, se si lascia appassionare dai vari compiti che gli sono affidati nel ministero, se “ci tiene” ad alcune cose, pur nel difficile equilibrio di avere la giusta misura.

Queste considerazioni ci permettono di dire che la “passione” con cui viviamo ogni momento della vita dipende dall’intensità con cui contempliamo la cura di Dio Padre per ciascuno di noi e il suo volto di Padre Misericordioso.

Il ministero di un prete si caratterizza per alcune “passioni” specifiche, che i seminaristi cominciano ad esercitare nel tempo della formazione: la gioia e la responsabilità per la cura della comunità che è la Chiesa, soprattutto per farla crescere nell’unità e nella comunione; la cura per ciascuna persona, affinché il dono della vita, della grazia battesimale e della vocazione si sviluppi in lei e diventi così ciò che già è, cioè “figlia di Dio”; la cura per le novantanove pecore che sono “fuori” e che la gioia profonda del Vangelo spinge a cercare.

In modo particolare, questa gioia del Vangelo, di cui ogni cristiano è chiamato ad essere testimone, diventa contagiosa e portatrice di vita e anche di vocazioni nuove, come ci ricorda papa Francesco: In molti luoghi scarseggiano le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Spesso questo è dovuto all’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso, per cui esse non entusiasmano e non suscitano attrattiva. Dove c’è vita, fervore, voglia di portare Cristo agli altri, sorgono vocazioni genuine. Persino in parrocchie dove i sacerdoti non sono molto impegnati e gioiosi, è la vita fraterna e fervorosa della comunità che risveglia il desiderio di consacrarsi interamente a Dio e all’evangelizzazione, soprattutto se tale vivace comunità prega insistentemente per le vocazioni e ha il coraggio di proporre ai suoi giovani un cammino di speciale consacrazione (EG 107).

 

 

don Alessandro Ravanello con l’équipe formativa del Seminario

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