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ConvegnoSeminariMinori Roma2019

Troppo giovani per decidere, ma non troppo per pensarci”. Questo il titolo – chiaro e provocatorio allo stesso tempo – delle giornate di studio promosse dalle CEI agli inizi di settembre per gli educatori (e non solo) dei Seminari minori d’Italia. Un appuntamento nuovo nel suo genere (non si teneva da anni un incontro nazionale su “i seminari minori e le altre forme di accompagnamento vocazionale degli adolescenti”) al quale ha partecipato pure la nostra diocesi, forte della riflessione e dell’impegno che ha portato alla nascita de “il Germoglio” nella forania del Quartier del Piave lo scorso inverno e presto anche in un’altra forania.

I lavori, sotto la guida di don Michele Gianola (direttore dell’Ufficio nazionale di pastorale delle vocazioni) e con la presenza costante di mons. Sigismondi (presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata, nonché vescovo di Foligno e assistente generale dell’Azione Cattolica), sono stati caratterizzati da un clima di profonda sintonia e condivisione.

Anche se la realtà del Seminario minore è presente solo in una sessantina di diocesi italiane, assumendo qua e là forme nuove, è risuonata unanime in tutti i partecipanti la volontà e l’esigenza di un rinnovato impegno da parte di ogni Chiesa diocesana per l’accompagnamento dei ragazzi e degli adolescenti: esso sarà sempre un investimento a lungo termine; l’atteggiamento dell’educatore, infatti, è simile a quello del contadino a novembre, chiamato a seminare con abbondanza e nella fede-fiducia che il terreno è ancora buono, che vale la pena spargere il seme e che, infine, la semente ha in sé la capacità di portare frutto.

Per fare questo la pastorale vocazionale degli adolescenti nelle nostre comunità cristiane ha bisogno di una rinnovata iniezione di speranza: ci vuole una riserva di speranza, infatti, per custodire la memoria del meglio di una tradizione educativa – quella dei nostri seminari minori – che non è tutta da buttare, solo perché non ci sono più i numeri di una volta e gli edifici sono troppi grandi e vuoti; pur segnata nel tempo da alcune fatiche e incomprensioni, la cura educativa del Seminario minore (fatta di vita comunitaria, di accompagnamento personale e di crescita nel cammino spirituale)  è un terreno buono che può portare ancora frutti, così come per il passato ha formato molti giovani alla vita e alla fede. 

Ci vuole uno slancio di speranza, poi, per abitare la conversione missionaria (delle persone e delle strutture) che ci è chiesta in questo tempo presente: quella di una pastorale del contagio appassionato più che dell’iniziativa in sé, della semina fiduciosa più che del raccolto abbondante, della cura personale “goccia a goccia” più che della proposta “a pioggia”.

Infine ci vuole uno sguardo di speranza per andare oltre quello che si vede nei ragazzi di oggi, in mezzo a tutte le potenzialità di cui sono capaci, come pure a tutte le fragilità che portano nel cuore e che faticano a gestire: uno sguardo di speranza che sa vedere oltre, che accetta il rischio di sbagliare, che non attende risultati, uno sguardo che mette in moto la libertà di ciascuno di corrispondere ai doni ricevuti.

Solo una tale iniezione di speranza – che è dono di Gesù Risorto, il Vivo che ci vuole vivi (cf. Christus vivit 1-2) – può permetterci di pensare che i nostri ragazzi sono “troppo giovani per decidere, ma non troppo per pensarci” e motivarci a far sì che i nostri seminari minori e/o le nuove forme che stanno assumendo siano ambienti dove ascoltare il Signore che chiama, ad ogni età.

don Paolo Astolfo
(da L'Azione n° 46 - domenica 10 novembre 2019)

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